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Classe ‘53 all'anagrafe di Taranto. Diplomato al Liceo Artistico Statale della sua città natale, si iscrive alla facoltà di Architettura a Genova, ma non terminerà mai gli studi. Già all’inizio degli anni '80 la sua arte è in fermento, cerca spazio e alla sua prima mostra personale, la critica lo riconosce come “una tra le più promettenti voci della nuova pittura italiana". Ad attirare l'attenzione dei critici le sue figure, sorrette da buoni mezzi tecnici e attraenti dal punto di vista del messaggio di cui sono portatrici: "Le sfaccettature dell'animo umano si annidano dietro ogni colore e le forme in cui vengono racchiusi i molti livelli cromatici diventano luoghi in cui poter abitare e incontrare se stessi e gli altri”. La ricerca di se stesso e di un luogo altrove dove potersi identificare, lo porta a trascorrere una vita fatta di ricerca, ribellione ed eccessi. Proprio dopo la sua ultima personale, in un afoso pomeriggio estivo tarantino, depone tutte le sue opere nel cassonetto dell’immondizia sotto casa e passa la notte a fumare sul balcone, per vedere chi si avvicina alle sue tele e cosa sceglie di portare via. Ma è proprio da questi eccessi che ad un certo punto nasce la consapevolezza di scegliere, vivere o morire. A 30 anni si trasferisce sulle colline riminesi con sua moglie e suo figlio, a cercare una nuova strada, che trova. Dopo aver incontrato nuovamente la sua anima, sceglie di condividere questa rigenerazione con chi ha bisogno di ritrovare un senso, diventando tutor per oltre 35 anni in una comunità terapeutica. Dipinte e chiuse in un container per oltre 20 anni, le tele di Chiloiro escono allo scoperto e nuove ne vengono create. Causa di questa nuova movimentazione artistica una separazione inattesa. Lasciano la penombra, per tanti anni custode rassicurante di un'esigenza fisiologica di dire senza parole, e muovono i primi passi sotto una luce fastidiosa ma necessaria a renderle visibili ad osservatori estranei. La opere di Chiloiro, dal 2007 ad oggi, creano spazio per una nuova pittura che oggi, come ieri, risponde al bisogno di raccontare. Una nuova vita, con suo figlio sempre accanto, oggi padre. Una compagna di vita arrivata dal presente con una figlia acquisita e adorata. Nel 2017 all’artista è stata diagnosticata una forma degenerativa di maculopatia atrofica che velocemente lo ha privato della capacità di guidare, leggere, scrivere e definire i lineamenti delle persone che incontra, sempre più riconoscibili solo dal suono delle loro voci. La focalizzazione sparisce lasciando solo una visuale periferica del mondo. Una nuova dimensione con cui prendere confidenza e trovare nuovi riferimenti. Molti chiedono, come fa a dipingere? Con la memoria del mondo, della natura, dell’essere umano e delle sue contrastanti sfaccettature sempre in bilico tra bene e male. Nel 2017, sbagliando strada a causa del nuovo disorientamento visivo, si imbatte casualmente in una galleria d’arte riminese ed entra, raccontando per la prima volta della sua arte, della sua storia. Da lì una personale ed una collettiva a cui segue un periodo intenso di produzione artistica, dove anche la scultura inizia ad insediarsi, frutto della necessità di dare supporto materico all’assenza sempre più importante della vista, ma anche dell’esigenza di esprimere il proprio pensiero su questo mondo in cui nostalgia e rivalsa possono diventare, a suo avviso, una miscela tossica da cui stare in guardia, se si vuole veramente salvaguardare la libertà di pensiero e di espressione e anche semplicemente vivere sentendosi parte di qualcosa di unico e irripetibile, la propria esistenza.

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